La deforestazione dell’Amazzonia è un preoccupante fenomeno di disboscamento delle aree forestali del bacino Amazzonico del Brasile, iniziato negli anni Quaranta e attualmente divenuto di una portata estremamente preoccupante per la salute dell’intero Pianeta.
La foresta Amazzonica rappresenta, infatti, un patrimonio naturale di grande valore per la presenza di innumerevoli biodiversità, risorse idrologiche e ricche diversità culturali, sociali ed economiche.
Con un’estensione pari a 6,7 milioni di km², l’Amazzonia ha una superficie che si estende ad abbracciare ben nove paesi del Sud America, includendo al suo interno diverse comunità indigene che vivono in isolamento volontario.
La deforestazione dell’Amazzonia, causata per l’80% dall’allevamento intensivo ma in parte legata allo sfruttamento del terreno per la produzione della soia e dell’olio di palma, implica pertanto conseguenze significative sia da un punto di vista culturale che ambientale.
Vediamo quali sono state quelle più significative nel tempo e come si è evoluto il fenomeno della deforestazione analizzando i dati raccolti dal XXI secolo ad oggi.
Deforestazione dell’Amazzonia: cenni storici
La deforestazione dell’Amazzonia iniziò a partire dal 1970, quando l’accesso alla foresta pluviale fu consentito con l’apertura delle prime autostrade, che contribuirono ad incoraggiare anche la costruzione di nuovi villaggi all’interno di queste aree.
La principale conseguenza del fenomeno di deforestazione di alcune zone boschive amazzoniche fu l’impoverimento del terreno, che, limitandone la produttività, spinse gli indigeni ad utilizzare i campi agricoli per i pascoli.
L’intensificarsi delle pratiche di allevamento condusse ad uno sfruttamento intensivo dei terreni della foresta Amazzonica ed alla necessità di accedere a nuovi spazi, ricavati con l’uso degli incendi da parte dei coloni.
Il fenomeno della deforestazione si ridusse del 70% soltanto all’inizio del XXI secolo per effetto dei maggiori controlli della polizia, unitamente al calo dei guadagni della soia coltivata in quei territori e a diverse campagne ambientaliste.
Ad eccezione di queste brevi parentesi, che durarono orientativamente dal 2005 al 2009, anno in cui i coltivatori e gli allevatori delle aree più a rischio furono esclusi dal credito a basso costo, dal 1988 al 2017 i picchi della deforestazione in Amazzonia sono sempre stati elevati fino a raggiungere ben 28.000 km².
In particolare a partire dal 2015 la deforestazione illegale dell’Amazzonia ritornò a crescere vertiginosamente per soddisfare le domande di prodotti come l’olio di palma da parte dei consumatori, provocando così una riduzione di queste aree del 40% in soli due decenni.
Deforestazione amazzonica: i dati recenti
La deforestazione amazzonica ha assunto negli ultimi anni una portata talmente estesa da far evidenziare soltanto nel 2017 una contrazione delle aree boschive pari a più del doppio della superficie dell’Italia, facendo registrare ben 783,826 km² in meno rispetto al 1970.
Tra il mese di agosto 2018 e il mese di Luglio 2019 il tasso è aumentato del 30% raggiungendo i livelli più alti registrati a partire dal 2008.
Secondo l’analisi condotta dall’Istituto Nazionale per la Ricerca spaziale (Inpe) la deforestazione dell’Amazzonia nel 2019 ha subito un’impennata del 50%, come conseguenza dell’aumento degli incendi in Brasile rispetto all’anno precedente, volti ad ottenere nuove aree di allevamento intensivo.
Solamente nel mese di agosto i tassi di deforestazione dell’Amazzonia brasiliana sono cresciuti del 300% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, principalmente a causa dell’attività agricola in espansione e dell’aumento della domanda di alcuni prodotti come carne bovina, olio di palma e soia.
Quali sono le conseguenze della deforestazione dell’Amazzonia
Proprio l’allarmante portata del fenomeno di deforestazione parallelamente all’aumento degli incendi ha destato non poche preoccupazioni nell’opinione pubblica e all’interno della comunità internazionale, soprattutto relativamente alle conseguenze climatiche, in particolare riguardanti il riscaldamento globale.
La foresta Amazzonica rappresenta, infatti, un vero e proprio polmone verde per il nostro Pianeta, in grado di assorbire dai 150 ai 200 miliardi di tonnellate di carbonio e di garantire, così l’equilibrio climatico e la salvaguardia delle biodiversità.
Se si pensa che le foreste pluviali detengono tra il 17% e il 20% delle risorse idriche del pianeta, includendo circa 6,7 milioni di km² di aree boschive, è possibile comprendere la gravità del fenomeno di deforestazione, che genera al tempo stesso una perdita del 10% della biodiversità mondiale a queste aree collegata, tra specie vegetali, animali e microbiche.
La foresta amazzonica, oltre a rappresentare un enorme deposito di carbonio in grado di trattenere dagli 80 ai 120 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, rappresenta anche l’habitat di circa 60.000 varietà di piante, di circa 1000 specie avicole mentre oltre 300 sono i mammiferi che vivono in queste aree boschive.
Proprio i 2,1 milioni di m² di vegetazione delle aree amazzoniche sono uno strumento fondamentale per ridurre le emissioni nocive dell’atmosfera, limitando l’evolversi dei cambiamenti climatici grazie alla produzione di ossigeno.
Per questo motivo la più grave conseguenza della deforestazione dell’Amazzonia è rappresentata dagli effetti negativi sul clima, che, innescando una reazione a catena, esporrebbero la foresta amazzonica al rischio di un inaridimento capace di trasformarla in una vera e propria savana.
Questa condizione riduce ogni giorno di più la capacità delle aree dell’Amazzonia brasiliana di assorbire gli elevati tassi di anidride carbonica dell’atmosfera, con conseguenze drammatiche non solo per la sopravvivenza stessa di questo territorio ma anche per la vita dell’intero Pianeta.