Il 13 giugno 2021 si è chiuso il vertice G7 sul clima a Carbis Bay, in Cornovaglia (Regno Unito). Anche se, indiscutibilmente, qualcosa si è mosso… i punti fermi sono pochi. Vediamo nel dettaglio cosa è avvenuto.
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La neutralità climatica
I 7 leader del G7 (ovvero Justin Trudeau per il Canada, Emmanuel Macron per la Francia, la cancelliera Angela Merkel per la Germania, Yoshihide Suga per il Giappone, Mario Draghi per l’Italia, Boris Johnson per il Regno Unito e Joe Biden per gli Stati Uniti) hanno raggiunto il primo accordo collettivo per dimezzare le emissioni dannose entro il 2030, al di là degli impegni presi dai singoli Paesi e dall’Unione Europea nei mesi scorsi. Hanno ribadito delle promesse che, però, erano già state annunciate tempo fa.
I 7 Paesi hanno affermato, inoltre, di voler raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Questo passaggio del processo è stato abbastanza fumoso, visto che non sono state decise nemmeno le tappe da rispettare nei prossimi 30 anni. Ecco infatti di seguito il comunicato finale:
“Ci impegniamo a presentare strategie a lungo termine che stabiliscano percorsi concreti per azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2050 il prima possibile, facendo il massimo sforzo per farlo entro la COP26”.
Ricordiamo che la COP26 è la 26a Conferenza delle Parti sul Cambiamento Climatico, che si terrà questo novembre 2021 a Glasgow, e sarà co-ospitata da Regno Unito e Italia. In questa Conferenza, i Paesi del G7 dovrebbero dichiarare, in aggiunta alle emissioni attuali, qual è stato il contributo di queste emissioni al riscaldamento globale, qual è quello attuale e quale sarà quello futuro.
Al G7 sul clima è infatti mancato qualunque riferimento sulla responsabilità storica delle emissioni. Focalizzarsi solo su quelle attuali, in diminuzione rispetto al passato nei Paesi occidentali, non coglie del tutto il punto: il problema è quanta CO2 si è accumulata finora (dato che le conseguenze dell’emissione di CO2 in atmosfera si protraggono per migliaia di anni).
La questione del carbone
I Capi di Stato hanno dichiarato, inoltre, che non destineranno più finanziamenti internazionali a progetti che prevedano l’utilizzo del carbone come combustibile, a meno che non garantiscano allo stesso tempo tecnologie per la cattura e lo stoccaggio delle emissioni (CSS). Ma il problema è la vaghezza del comunicato finale, che vuole “migliorare rapidamente le tecnologie e le politiche che accelerino la transizione dal carbone in assenza di sistemi per la cattura delle emissioni”, ma evitando di specificare QUANDO questo accadrà. Non c’è infatti nessuna data, soltanto un vago “rapidamente”.
Il Regno Unito ha insistito per inserire una data precisa per il definitivo abbandono del carbone come fonte energetica, ma non è stato inserito nessun limite temporale.
La stessa IEA (International Energy Agency) aveva di recente fatto ben presente la necessità di smettere immediatamente di approvare la costruzione di nuovi impianti a carbone o di estrazione di petrolio, al fine di scongiurare le più devastanti e terribili conseguenze del global warming.
Secondo alcuni osservatori politici, questa assenza di leadership e di specificità potrebbe togliere pressione alla Cina. Quest’ultima è infatti responsabile del 28% delle emissioni globali di gas serra, ed è fortemente dipendente dal carbone per la produzione di energia. Il vuoto decisionale delle potenze del G7 fornirà al governo cinese una ragione in più per non farsi carico di un taglio delle emissioni a lungo scaricate in atmosfera dall’Occidente.
La questione dei Paesi a medio e basso reddito
Uno dei temi più attesi riguardava proprio la finanza climatica, una sorta di prova per capire se il vertice poteva davvero concretizzare e rilanciare le ambizioni in vista degli appuntamenti internazionali. Il comunicato finale glissa su un altro punto cruciale, ovvero aumentare le somme da destinare alla transizione ecologica dei paesi più svantaggiati e trovare un modo per far sì che i fondi vengano stanziati correttamente.
Ebbene, non è avvenuto nessun passo in avanti concreto in merito. Gli aiuti stanziati per aiutare i Paesi a medio e basso reddito a sviluppare fonti di energia pulita e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici sono stati giudicati astratti e poco ambiziosi. Esiste un accordo affinché ogni membro del G7 aumenti il proprio contributo per arrivare a una cifra complessiva di 100 miliardi di dollari all’anno (84 miliardi di euro) fino al 2025 da destinare a questo scopo, ma solo due Paesi (Canada e Germania) hanno messo sul tavolo cifre concrete.
Una promessa analoga era già stata formulata nel 2009 e fino al 2020, ma è stata onorata solo in parte, per 80 miliardi di dollari (67,5 miliardi di euro) in totale, e comunque stanziati in forma di prestiti, molto difficili da restituire per chi avesse voluto utilizzarli. Considerati gli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici, specialmente nei Paesi più poveri, oltretutto aggravati dalla pandemia, gli aiuti sul piatto sono «noccioline nella catastrofe», ha affermato Malik Amin Aslam, Ministro del Clima del Pakistan.
Le altre questioni del vertice
Il summit ha poi toccato il tema della tutela della biodiversità, gettando finalmente le basi per un’azione in linea con gli sforzi sul clima. Il punto chiave dell’iniziativa è il Nature Compact 2030, con cui i 7 paesi del G7 si coordinano per proteggere la diversità biologica (tema che è già al centro degli obiettivi dell’ONU).
I leader si sono impegnati alla tutela di almeno il 30% di suolo e di oceani entro il 2030 (attualmente sono tutelati come riserve naturali, o formule affini, solo il 17% delle terre e l’8% dei mari). Tuttavia la biodiversità non è distribuita in modo omogeneo sul Pianeta: non basta che ogni Paese si concentri sul proprio 30%, bisognerebbe sforzarsi tutti insieme di proteggere le aree in cui si prevedono i risultati migliori, gli hotspot di biodiversità che sono stati mappati.
“Proteggere la biodiversità significa coinvolgere, e non estromettere, le comunità locali, accertandosi che gli scrigni di biodiversità siano usati in modo sostenibile. Significa contrastare l’agricoltura intensiva, la deforestazione, le attività estrattive. Se ne riparlerà alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità di ottobre a Kunming, in Cina”, si legge su un recente mensile a tal riguardo.
È stata menzionata poi la decarbonizzazione dei trasporti, ma senza note di rilievo. Sono stati ripetuti gli obiettivi a lungo termine, ma mancano impegni precisi sul trasporto stradale, aereo e marittimo. Mancano del tutto anche i dettagli sulla tematica delle infrastrutture verdi (quante risorse vengano mobilitate e per realizzare cosa).