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    Dove fu costruita la prima centrale nucleare in Italia?

    dove fu costruita la prima centrale nucleare in Italia

    da Redazione | 04 Marzo 2022

    Dagli anni ‘60 fino all’inizio degli anni ‘90 nel territorio italiano erano attive cinque centrali nucleari e altre in fase di costruzione o di avviamento sorte in diverse regioni da nord a sud.

    Il primo reattore nucleare sperimentale è stato costruito ad Ispra (Varese), ma la prima vera e propria centrale funzionante è stata quella di Latina. In quegli anni l’Italia risultava essere il terzo produttore al mondo di energia elettrica da fonti nucleari dopo gli Stati Uniti e l’Inghilterra, ma i risultati dei referendum del 1987 hanno di fatto messo fine alle centrali nucleari italiane.

    Vediamo dove fu costruita la prima centrale nucleare in Italia e qual è stata l’evoluzione del nucleare nel nostro paese.

    La centrale nucleare di Latina

    La fine degli anni ‘50 ha segnato in Italia l’inizio delle ricerche sull’energia atomica e l’installazione dei primi reattori nucleari per la produzione di energia elettrica; in particolare, la crisi di Suez del 1956 ha aumentato notevolmente il prezzo del greggio e i paesi occidentali, tra cui l’Italia, cercavano delle valide alternative ai combustibili fossili.

    La prima centrale nucleare in Italia nasce sul litorale laziale di Latina presso la località di Borgo Sabotino su iniziativa dell’ingegnere e presidente dell’Eni Enrico Mattei; i lavori di costruzione cominciano nel 1958, ma la centrale iniziò a produrre energia solo nel 1963. Il reattore di Latina era di tipo Magnox a uranio naturale non arricchito, moderato a grafite e con anidride carbonica; la potenza elettrica sviluppata era pari a 200 Mw e ciò lo rendeva uno dei reattori più potenti a livello europeo di quel periodo. Per rendere la centrale indipendente dalle forniture di uranio dai paesi esteri, dato che al momento l’uranio era fornito dagli inglesi, Mattei aveva intrapreso anche un progetto di ricerca mineraria che però non durò a lungo data l’opposizione incontrata in Italia per l’estrazione dell’uranio stesso.

    La centrale nucleare del Garigliano

    La seconda centrale degli impianti nucleari italiani venne costruita lungo il corso del fiume Garigliano in provincia di Caserta più o meno negli stessi anni in cui veniva costruita quella di Latina; questa centrale nasceva per volere di un consorzio formato da tre società a partecipazione statale con l’intento di alimentare le nuove aziende del Meridione con l’energia nucleare.

    La centrale campana aveva un reattore di tipo BWR, Boiling Water Reactor da 150 Mw, veniva impiegato uranio leggermente arricchito che era raffreddato con acqua bollente; nonostante la potenza inferiore rispetto al reattore visto in precedenza, questo era in grado di generare oltre un miliardo di chilowattora all’anno. La centrale è rimasta in funzione fino al 1978, anno in cui a causa di un guasto iniziarono dei lavori di manutenzione che si rivelarono troppo costosi per poter essere conclusi; a causa di malformazioni di animali e di prodotti agricoli si pensava che le acque del fiume fossero state inquinate da dei liquidi radioattivi, scatenando le proteste dei cittadini.

    La centrale nucleare di Trino

    La centrale di Trino era il terzo impianto ad energia nucleare costruito in Italia. Il reattore Enrico Fermi di Trino era da 270 Mw ad uranio moderatamente arricchito raffreddato ad acqua pressurizzata e in quel momento era la centrale più potente al mondo. La centrale sorgeva lungo la piana vercellese per sfruttare il corso di acqua del Po, ma la grande novità di questo impianto è che era il primo ad essere alimentato con combustibile nucleare nazionale; infatti, l’uranio era fornito da una società con sede a Saluggia Vercelli. Dato il crescente sviluppo economico italiano di quegli anni si spingeva a far crescere il campo del nucleare, tanto che era prevista la costruzione di una nuova centrale chiamata Trino 2 a pochi chilometri da quella vercellese.

    La centrale nucleare di Caorso

    La quarta centrale nucleare italiana era quella di Caorso (Piacenza) sorta sempre vicino al corso del Po all’inizio del 1970. Si trattava di un impianto simile a quello di Trino ma molto più potente, dato che era in grado di produrre oltre 860 Mw, usava uranio arricchito ed era un reattore del tipo BWR, Boiling Water Reactor. Nel 1979 la centrale nucleare della Pennsylvania era stata gravemente danneggiata da un incidente che aveva visto la perdita di liquidi radioattivi; date le somiglianze tra il reattore emiliano e quello americano, in Italia aumentarono sempre di più le proteste anti-nucleare ed ecologiste, ma queste non bastarono a fermare lo sviluppo delle centrali nucleari italiane.

    Infatti, già dal 1975 era stato inaugurato il primo Piano Energetico Nucleare che stabiliva le sedi delle future centrali italiane: per l’Italia meridionale erano previste la centrale di Termoli e quella di San Pietro Vernotico in provincia di Brindisi, per il settentrione quella di Viadana in provincia di Mantova e un’altra nel pavese, infine per il centro Italia la centrale di Montalto di Castro in provincia di Viterbo che avrebbe dovuto produrre 2000 Mw.

    La fine del nucleare in Italia

    L’incidente della centrale della Pennsylvania e ancora di più quello di Cernobyl del 1986 avevano aumentato le discussioni sugli effetti collaterali dell’energia nucleare, tanto che nel 1987 ci furono tre referendum abrogativi riguardanti questo settore; in realtà non si metteva in discussione l’apertura di nuove centrali o la chiusura di quelle già attive, ma solo l’abrogazione dei compensi ai comuni che decidevano di ospitare tali impianti e la possibilità da parte dei gestori di energia statali di investire su progetti nucleari all’estero. Il risultato di queste votazioni di fatto portò alla fine delle centrali nucleari italiane: quella di Latina e di Trino erano state progettate per restare in funzione circa un ventennio, perciò, in quegli anni avevano già concluso il loro ciclo produttivo, quella di Garigliano era stata bloccata agli inizi degli anni ‘80 in seguito a un guasto; quindi, l’unica ad essere stata effettivamente chiusa in anticipo era quella di Caorso.

    Infine, per quanto riguarda le nuove centrali di cui erano già iniziati i lavori di costruzione vennero riconvertite: quella di Montalto di Castro è diventata la centrale a policombustibile Alessandro Volta, mentre il secondo impianto di Trino è divenuto un impianto a gas a ciclo combinato.

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