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Qual è l’impatto ambientale di una centrale nucleare?

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da Redazione | 05 Novembre 2019

Cos’è una centrale nucleare

La centrale nucleare o termonucleare è una centrale elettrica che genera vapore in condizioni di temperatura e pressione elevati per produrre elettricità sfruttando il calore prodotto da una reazione di fissione nucleare.

L’energia nucleare, ritenuta pulita poiché a bassa emissione di anidride carbonica, è stata a lungo considerata come una strada percorribile per combattere l’effetto serra e dunque una possibile soluzione al problema del surriscaldamento globale.

In realtà, le centrali nucleari si sono rivelate nel tempo molto pericolose dimostrando non solo di non essere in grado di ridurre la concentrazione dei gas serra nell’atmosfera ma facendo evidenziare innumerevoli problemi di sicurezza, dalle emissioni radioattive allo smaltimento delle scorie.

Proprio per questo motivo, se nel corso degli anni la strada del nucleare è stata percorsa da molti paesi tra cui Gran Bretagna e Francia, nel tempo altri, tra cui l’Italia, decisero di chiudere del tutto gli impianti.

Lo sviluppo del nucleare, introdotto negli anni Cinquanta, si è, infatti, interrotto negli anni Ottanta e Novanta per problemi di sicurezza, degenerati in alcuni gravi incidenti, come quelli di Three Miles Island nel 1979 in Pennsylvania e di Cernobyl nell’ex Unione Sovietica nel 1986.

Sebbene una ripresa si sia verificata negli anni Duemila, oggi il nucleare è una risorsa troppo dispendiosa ma soprattutto estremamente dannosa per l’uomo e per l’ambiente.

Ecco qual è l’impatto ambientale di una centrale nucleare e i rischi legati al funzionamento di questa tipologia di impianti.

Qual è l’impatto ambientale di una centrale nucleare: rischi e conseguenze

Sebbene alcune procedure costruttive e tecniche siano state affinate nel tempo, i rischi connessi al funzionamento di una centrale nucleare sono ancora molto elevati e sembrano essere destinati a non cessare nel tempo.

Il problema principale legato alla produzione di energia da nucleare è legato alle scorie radioattive ossia al combustibile nucleare residuo prodotto dalle centrali nucleari di fissione.

A differenza delle centrali termoelettriche, che producono fumi, questi impianti emettono isotopi, ossia atomi altamente instabili e difficili da smaltire che perdurano nel tempo e producono radiazioni molto pericolose per la salute dell’uomo e dell’ambiente.

Le scorie nucleari, infatti, restando radioattive anche per migliaia di anni, possono causare pericolosi disastri ambientali e danni irreparabili per l’uomo, ad esempio malattie come la leucemia e gravi patologie del sistema nervoso.

In prossimità degli impianti sono state, inoltre, rilevate alte percentuali di malattie congenite nei bambini ed un preoccupante aumento degli aborti spontanei o feti malformati.

Ciò avviene presumibilmente a causa del fatto che i materiali prodotti dallo sfruttamento dell’energia nucleare emettono radiazioni alfa, beta e gamma, responsabili di alterare il patrimonio genetico delle cellule e dunque di arrecare gravi danni ai tessuti, di qui la proliferazione di malattie quali il cancro e patologie genetiche ereditarie.

Oltre ad avere un impatto negativo da un punto di vista paesaggistico, gli impianti nucleari occupano aree territoriali molto estese che prevedono, dunque, l’allontanamento della fauna e implicano la scomparsa di eventuali edifici presenti.

Per capire meglio qual è l’impatto ambientale di una centrale nucleare è indispensabile conoscerne il funzionamento, apriamo quindi una piccola parentesi per approfondire il meccanismo alla base della produzione di energia da impianti nucleari.

Come funziona una centrale nucleare: il processo di fissione

La centrale nucleare, come accennato in precedenza, ha un funzionamento simile a quello degli impianti elettrici, da cui si differenzia per la diversa modalità di produzione del vapore necessario ad azionare la turbina.

Nello specifico, questo processo avviene all’interno del reattore nucleare, dove, più in particolare all’interno del nocciolo, si trovano i contenitori di uranio che accolgono il combustibile nucleare.

Proprio nel nocciolo, parte fondamentale del reattore, si riscalda l’acqua per la produzione di vapore ad alta pressione attraverso il processo chiamato fissione nucleare controllata.

Una turbina rotante ospita il vapore prodotto per convogliarlo all’alternatore, così l’energia meccanica viene convertita in energia elettrica per induzione elettromagnetica.

Sebbene alcune barre di controllo inserite nel reattore ne regolino la potenza e siano in grado di spegnerlo all’occorrenza, i rischi legati al processo di fissione non possono essere del tutto eliminati.

Se, infatti, la struttura del reattore è tale da non dover permettere la fuoriuscita di sostanze radioattive durante il processo di fissione, in realtà esso continua ad essere giudicato pericoloso, soprattutto in caso di incidente.

Il meccanismo di funzionamento di una centrale nucleare avrebbe dovuto assicurare nel tempo un minor impatto ambientale riducendo lo sfruttamento dei combustibili fossili, ma le aspettative sembrano essere state deluse proprio a causa del ciclo di vita del combustibile nucleare e del difficile smaltimento delle scorie radioattive.

La radioattività, in realtà, è un fenomeno fisico presente anche in natura e può addirittura assumere una valenza curativa di molte malattie se mantenuta a livelli molto bassi, come nel caso dei raggi X.

Al contrario essa può invece diventare molto pericolosa se non controllata e portata a livelli estremi, soprattutto in caso di fuoriuscite di emissioni radioattive dovute ad anomalie e malfunzionamenti dell’impianto.

Qual è l’impatto ambientale di una centrale nucleare: incidenti e disastri

Per quanto una delle modalità per evitare le dannose conseguenze che la produzione di energia nucleare implica sia la collocazione degli impianti in zone poco popolate, ciò non sembra essere sufficiente ad evitarne i rischi.

Lo dimostrano gli innumerevoli incidenti verificatisi negli anni, a seguito dei quali gli elementi radioattivi, trasportati dai venti, hanno potuto raggiungere aree collocate anche a migliaia di chilometri di distanza, disperdendosi rapidamente nell’ambiente.

Uno dei problemi più importanti, e purtroppo ancora irrisolto, legato al funzionamento in sicurezza degli impianti nucleari riguarda proprio il difficile trattamento delle scorie radioattive prodotte da una centrale nucleare e la possibilità di reperire spazi adeguati a depositarle dopo averle trattate.

Gli isotopi radioattivi richiederebbero un deposito controllato dai 500 ai 700 anni, nel caso del plutonio si parla addirittura di centinaia di migliaia di anni.

Oltre alla radioattività di questi impianti e i rischi ad essa collegati, un altro dei pericoli alla base degli incidenti è rappresentato dalla frequente contaminazione dei liquidi di raffreddamento.

Questi fattori hanno contribuito a causare incidenti di gravissima entità ritenuti prima impossibili, quelli di Three Mile Island e Chernobyl sono due evidenti esempi.

L’impatto ambientale di questi disastri è stato strettamente correlato alla distanza dal sito dell’incidente, secondo il criterio di radioprotezione.

Maggiore è la distanza minore è il rischio, questo è ciò che è stato drasticamente rilevato in occasione dell’incidente di Cernobyl del 1986, che provocò conseguenze disastrose in tutta l’Europa.

Per quanto tale nube radioattiva abbia percorso un’area così vasta e la zona circoscritta alla centrale fosse stata rapidamente evacuata, ancora oggi le aree circostanti non sono accessibili, confermando il grave problema della permanenza delle scorie radioattive nel tempo.

Ciò è essenzialmente dovuto anche alla tipologia delle emissioni radioattive, che si possono differenziare in due categorie principali, quelle a lunga e lunghissima vita e quelle con una vita breve o brevissima.

Alla prima tipologia appartengono uranio e plutonio, che tendono a concentrarsi nelle immediate vicinanze di un impianto nucleare, della seconda categoria fanno invece parte elementi radioattivi leggeri come cesio, iodio e prodotti di fissione, che, al contrario, si disperdono più facilmente nell’aria e su ampie distanze.

Durante il volo, tuttavia, si disperde una buona parte di radioattività, pertanto ciò può essere la spiegazione del fatto che all’aumentare della distanza dal luogo dell’incidente, tende a diminuire il rischio di radioattività.

Oltre ai disastri ambientali verificatisi in seguito agli incidenti nucleari, l’impatto negativo delle centrali nucleari è legato anche all’uso civile dell’energia nucleare.

L’estrazione e l’arricchimento dell’uranio, ad esempio, oltre a generare pericolosi fenomeni di radioattività genera un eccessivo dispendio di risorse idriche ed energetiche nella produzione del combustibile nucleare.

Da non trascurare, infine, il problema dello stoccaggio delle scorie nucleari e del loro trasporto, che espone a gravi rischi l’ambiente e l’intera umanità.

L’impatto ambientale di una centrale nucleare non può essere dunque del tutto contenuto, in quanto è necessario intervenire in modo strategico sulla sicurezza degli impianti ma soprattutto mettere a punto una strategia per ridurre i rischi legati all’accumulo delle scorie di fissione, che ancora per millenni conserveranno la loro radioattività.

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