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    Il reattore di Chernobyl brucia ancora?

    Perché il reattore di Chernobyl brucia ancora?

    da Redazione | 21 Marzo 2023

    Il 26 aprile 1986, come molti di voi ricorderanno, si verificò il più grande disastro nucleare della storia: l’esplosione della centrale di Chernobyl avvenuta nel reattore numero 4 e il conseguente incendio della struttura.

    La nube di fumo carica di isotopi radioattivi si diffuse su mezza Europa generando panico e preoccupazione, dato che possono restare pericolosi per migliaia di anni.

    Il fatto successo più di 35 anni fa sembrava essere solo un triste ricordo, diventato persino meta di visite turistiche, un po’ macabre; invece, a maggio 2021, sulla rivista Science, Anatolii Doroshenko, dell’Istituto per la sicurezza delle centrali nucleari di Kiev, dichiarò che i sensori di radioattività, che circondano la centrale, avevano registrato da alcune settimane un costante aumento nel livello di neutroni provenienti dall’impianto distrutto.

    Quindi il reattore di Chernobyl brucia ancora? Cerchiamo di far luce su questa vicenda e spieghiamo come mai si stanno verificando ancora reazioni di fissione nel reattore distrutto.

    Perché sono riprese le reazioni di fissione nel reattore di Chernobyl?

    Le masse di uranio sepolte all’interno del reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl sono ancora attive e hanno avviato una reazione di fissione. Questo perché in caso di incidente con fusione del reattore, le stesse reazioni di fissione dell’uranio possono continuare, nonostante la distruzione dell’impianto.

    Maxim Saveliev, dell’Institute for Safety Problems of Nuclear Power Plants (ISPNPP), ha confermato nel 2021 che <<Il numero dei neutroni prodotti – il segnale che un processo di fissione è in corso – sta aumentando lentamente, e ciò vuol dire che ci sono alcuni anni di tempo per neutralizzare possibili rischi>>.

    Questo significa quindi che il reattore di Chernobyl brucia ancora oggi?

    Come ha riportato la rivista americana Science, da quando è stato installato il New Safe Confinement (il gigantesco nuovo sarcofago installato nel 2016, costato 1.5 miliardi di euro, che tiene confinati in sicurezza i materiali radioattivi della centrale e protegge dalla pioggia), il numero dei neutroni nella maggior parte delle aree è rimasto stabile, ma è iniziato a salire in alcuni punti, quasi raddoppiando in quattro anni nella stanza 305/2inaccessibile perché contenente una gran quantità di corium, simile alla lava, colato dal reattore. Questo materiale radioattivo consiste in un mix di ossido di uranio, lega di zirconio, calcestruzzo e serpentinite.

    I neutroni intercettati dai sensori sono un prodotto della fissione del nucleo di uranio 235, che si innesca quando questo elemento è colpito da un neutrone. Questo scontro ha molte più probabilità di accadere se il neutrone è rallentato da un “moderatore”, in genere acqua o grafite. Dallo spezzarsi del primo nucleo, si generano altri tre neutroni che, se rallentati, avranno buone possibilità di colpire altri tre nuclei di U235, il che produrrà altri 9 neutroni e così via, suscitando una reazione a catena.

    Non è la prima volta che si nota un aumento dei livelli di neutroni, ma anche se sono ancora nei limiti di sicurezza, è un fatto che preoccupa.

    Il rischio e le possibili soluzioni

    I ricercatori non hanno ben chiaro il meccanismo che sta facendo ripartire le reazioni di fissione, ma se è causato dall’asciugarsi della massa fusa, il rischio è che possano intensificarsi sempre di più, e, dato che nella stanza 305/2 da cui provengono i neutroni stavolta non si può entrare, la reazione non si potrà bloccare con il gadolinio. Si potrebbe, il condizionale è d’obbligo, generare una nuova esplosione che per fortuna non sarebbe della stessa entità di quella del 1986, ma potrebbe essere abbastanza importante da rilasciare polvere radioattiva intorno al reattore e in un raggio di alcuni chilometri, impedendo ai tecnici di lavorare alla sua messa in sicurezza.

    Solo un incendio della grafite potrebbe provocare una massa d’aria calda che porterebbe le particelle radioattive ad alta quota. Da valutare con attenzione anche la possibilità che le esplosioni sotterranee rendano più semplice il trasporto di radioattività dal sito al vicino fiume Pripyat che conflusce nel Dnepr, il fiume che bagna Kiev e poi finisce nel Mar Nero.

    La possibilità di incidente potrebbe essere tenuta a bada con una soluzione trovata dagli esperti dell’Ispnpp, ovvero quella di progettare un robot capace di resistere a lungo alle radiazioni intense e inserire negli Fcm cilindri di boro che fungerebbero come controllo e assorbirebbero i neutroni.

    Possibile anche un utilizzo deliberato dell’acqua. Per completare gli studi ci vorrà molto tempo e lo stesso per attuare gli interventi.

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