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Quanto inquina la moda?

Quanto inquina l'industria della moda?

da Redazione | 09 Marzo 2023

L’industria tessile è il terzo settore manifatturiero della nostra Nazione: conta quasi mezzo milione di addetti e oltre 50 mila aziende, produttive in tutta Italia. Globalmente impiega 75 milioni di persone e dall’inizio del 2000 ad oggi la produzione di vestiti è raddoppiata. Quanti di voi hanno più vestiti nell’armadio di quelli che realmente utilizzano?

Analizziamo perché e quanto inquina la moda.

Industria della moda: al 6° posto tra le più inquinanti al mondo

La moda inquina, è un dato di fatto. Secondo uno studio condotto dal gruppo londinese The Eco Experts, le industrie più inquinanti in base alle emissioni annuali di gas serra sono nell’ordine:

  1. L’energia
  2. I trasporti
  3. La manifattura e l’edilizia
  4. L’agricoltura
  5. La vendita al dettaglio di prodotti alimentari
  6. La moda
  7. La tecnologia

In particolare, la cosiddetta fast fashion o moda veloce, ovvero la tendenza a considerare i vestiti come prodotti usa e getta, è responsabile del 10% dell’inquinamento globale, al secondo posto dopo il settore petrolifero.

La fast fashion

La fast fashion produce oggi più di 50 collezioni in un anno; si tratta di indumenti trendy, economici, realizzati in tempi molto rapidi e spesso da lavoratori sottopagati, con materiale a basso costo (in genere si utilizza il poliestere, una fibra sintetica che viene ottenuta dalla lavorazione di combustibili fossili come gas naturale e petrolio). Ogni consumatore acquista il 60% di abiti in più rispetto a 20 anni fa, indossandoli la metà delle volte.

Ma dunque quanto inquina la moda? L’industria della moda produce tra i 4 e i 5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in atmosfera ogni anno (secondo un rapporto delle Nazioni Unite).

È inoltre responsabile del 35% delle microplastiche che finiscono nei mari e negli oceani, derivanti dal lavaggio di capi sintetici, soprattutto dal poliestere.

Insomma, nonostante gli sforzi per essere più sostenibile e green, la quantità di inquinamento generato dalla moda è ancora troppa. Vediamo nello specifico le ragioni.

Perché inquina la moda?

  • Sicuramente una prima causa è da ricercare nell’utilizzo di materie prime a buon mercato, materiali con coloranti tossici che si utilizzano in grosse quantità per produrre i vestiti (la produzione di poliestere è quasi triplicata rispetto agli inizi del 2000, arrivando a 65 milioni di tonnellate ogni anno).
  • Un altro motivo è dovuto al fatto che per confezionare i propri vestiti l’industria della moda si affida a fabbriche in Asia, le quali spesso funzionano a carbone e gas, contribuendo all’emissioni di gas serra.
  • Un altro problema riguarda l’elevato consumo di acqua. Secondo una stima il settore utilizza 93 miliardi di litri di acqua all’anno, ma secondo altre anche di più. Secondo l’Onu il 20% dell’acqua sprecata globalmente è ascrivibile a questa industria; pensate che per produrre una singola camicia di cotone sono necessari circa 3.000 litri di acqua, per una t-shirt ne servono 2700! Piantagioni di cotone, trattamento dei tessuti e lavaggio dei capi d’abbigliamento necessitano di enormi quantità di acqua.
  • I trasporti, con la spedizione degli ordini online, contribuiscono alle emissioni di Co2 annuali.
  • I rifiuti costituiscono un altro problema. Lo smaltimento delle sostanze tossiche e inquinanti che finiscono nelle falde e poi nei mari, laghi e fiumi causa il 20% dell’inquinamento delle risorse idriche del pianeta. L’85% dei tessuti va a finire in discarica ogni anno oppure vengono bruciati. Si stima che i rifiuti tessili superino i 92 milioni di tonnellate l’anno.
  • Sfruttamento del suolo: per le piantagioni di cotone o per l’allevamento del bestiame per ottenere pellame, l’industria tessile sfrutta il suolo causando una perdita della biodiversità.

Inoltre, il settore è dipendente dalle fonti fossili di energia e richiede grosse quantità di manodopera.

Cosa fare per ridurre l’inquinamento della moda?

Leggendo quanto inquina la moda si rende necessario un cambiamento radicale sia dal lato dei produttori, sia da quello dei consumatori e dei loro stili di vita.

Alcuni brand del settore, ma anche diversi marchi indipendenti, si stanno muovendo verso il noleggio di vestiti, verso la loro rivendita come capi di seconda mano e alla loro riparazione.

Per ridurre il problema bisogna applicare i principi dell’economia circolare alla moda. Questo significa puntare su prodotti più duraturi o su capi che utilizzano come materia prima materiale riciclato. Inoltre, sarebbe opportuno sviluppare tecnologie in grado di facilitare i processi produttivi sostenibili, come il riciclo appunto.

Molti vestiti scartati finiscono in discarica perché non ci sono macchinari sufficienti che permettono di raccogliere, riciclare e riutilizzare le fibre tessili.

Secondo una raccomandazione dell’Unione Europea, nel 2030 ci dovranno essere quantità minime obbligatorie per l’uso di fibre riciclate nel settore tessile.

Servirebbero, inoltre, sistemi più accurati di riconoscimento e quantificazione delle microplastiche e anche stime più precise sui consumi di acqua.

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